Valutare l’esposizione degli occhi umani alla luce UV: una revisione narrativa
L’evidente aumento della radiazione ultravioletta ambientale (in particolare la gamma di UVB, 280-315 nm e UVA, 315-400 nm) ha suscitato interesse nei campi dell’oftalmologia e dell’optometria.
L’esposizione alla luce ultravioletta è associata a diverse patologie oculari. Comprendere i livelli e i fattori di esposizione è quindi importante dal punto di vista medico e di prevenzione. In questo studio viene condotta una revisione dell’attuale letteratura sull’esposizione oculare alla luce ultravioletta. È stato dimostrato che l’irraggiamento ambientale non è un buon indicatore dell’esposizione effettiva e gli attuali strumenti per stimare l’esposizione cutanea hanno limitazioni per la regione oculare.
Le condizioni di irradiazione ambientale sono determinante nell’esposizione oculare, ma la relazione tra l’intensità UV ambientale e l’intensità della luce ricevuta nell’occhio non è purtroppo semplice. L’occhio è una superficie asferica, orientata (il più delle volte) verticalmente.
Hatsusaka et al. (3) definiscono un indice UV oculare (OUVI), cioè un indice UV specifico per gli occhi. Attraverso misurazioni, ottenute con un manichino antropomorfo, Hatsusaka et al. mettono in relazione l’irraggiamento ambientale con l’irraggiamento oculare e definiscono, per mezzo di una semplice regressione lineare, una formula che consente di calcolare OUVI (usando la stessa scala dell’UVI) direttamente dall’irraggiamento UV oculare. Confrontando l’UVI e l’OUVI, lo stesso indice è stato notato intorno a mezzogiorno in estate, mentre al mattino e al pomeriggio viene registrato un livello più alto di OUVI (un valore medio di 3,7 contro 2,5). Durante l’inverno, quando i valori UVI sono generalmente bassi (indice massimo di 1), l’OUVI registra invece valori fino a 4.
Per effettuare quest’indagine, sono stati sviluppati tre metodi.
1. L’uso di manichini antropomorfi.
Rappresenta uno dei metodi preponderanti impiegati per valutare la quantità di luce che raggiunge l’occhio umano. Il metodo del manichino consente di studiare come e quanta luce viene ricevuta nella regione oculare in diverse situazioni di illuminazione e protezione Tuttavia, è importante notare che tale approccio consente di misurare solamente la luce che raggiunge l’area generale dell’occhio, non consentendo di calcolare con precisione la quantità di luce che incide sulla cornea. Pertanto, bisogna riconoscere che questo metodo presenta alcune limitazioni evidenti poiché non è in grado di considerare tutti i fenomeni involontari, come ad esempio il momento in cui una persona chiude gli occhi; e non può quindi essere utilizzato per determinare l’esposizione oculare alla luce ultravioletta per una situazione di esposizione realistica: la rotazione del bulbo oculare, la rotazione della testa, gli strali e il battito delle palpebre sono alcuni esempi di fenomeni che non
possono essere inclusi nella misurazione.
Inoltre, l’impiego di manichini antropomorfi, per misurare l’esposizione alla luce, può non riflettere accuratamente le variazioni individuali nella fisiologia dell’occhio e nel comportamento visivo, poiché il sistema oculare è altamente complesso e differente da soggetto a soggetto.
2. Misurazioni tramite sensori indossabili.
A tal proposito è stato sviluppato un particolare dispositivo costituito da cinque sensori UV.
L’obiettivo principale di questa tecnologia è quello di ottenere una comprensione dettagliata dell’effettiva quantità di radiazioni UV che incide sulla superficie oculare, prendendo in considerazione le variazioni degli angoli di elevazione solare.
L’utilizzo di sensori indossabili offre numerosi vantaggi, poiché consente di raccogliere dati in tempo reale e di monitorare l’esposizione agli UV nel corso del tempo.
Un metodo simile, ma con un obiettivo ancora più ambizioso, è quello di misurare la radiazione ultravioletta direttamente sulla superficie dell’occhio attraverso lenti a contatto polisolforiche, che si degradano se esposte alle radiazioni ultraviolette.
Conoscendo la dose-risposta tra la luce UV e la degradazione delle lenti in polisulfone, è possibile quantificare l’esposizione confrontando l’assorbimento della lente prima e dopo l’esposizione mediante spettrofotometria. A causa del materiale di cui sono fatte queste lenti, il tempo di misurazione è stato limitato a un massimo di un’ora, anche se è possibile estendere questo tempo con adattatori specifici. I risultati, espressi in termini di Ocular Ambient Exposure Ratio (OAER), sono compatibili con le misurazioni riscontrate in lavori precedenti.
Alcuni metodi hanno dimostrato di essere più appropriati per imitare esposizioni realistiche. Questo è il caso del metodo delle lenti a contatto, anche se l’ultima applicazione trovata ha più di vent’anni. Questa rarità può essere correlata alla crescente complessità degli studi su soggetti umani, che tende a rendere più popolari gli studi di simulazione. Altri tipi di misurazione si concentravano invece su periodi di tempo più lunghi, a scapito dell’accuratezza, stimando l’OAER per le popolazioni generali. Questo metodo potrebbe potenzialmente essere utilizzato ovunque, conoscendo i vari fattori che influenzano la particolare area geografica e le abitudini quotidiane (cioè il tempo trascorso fuori).
3. Stima dell’esposizione oculare con simulazioni numeriche.
Questa metodologia di ricerca si suddivide in due tipologie di modelli: di dosimetria dei tessuti e di superfice. Il modello è utilizzato soprattutto per applicazioni mediche. La seconda tipologia simula l’esposizione della luce sulla superfice del corpo, coinvolgendo alcune variabili macroscopiche.
E’ stato notato che il metodo delle simulazioni numeriche non è ampiamente utilizzato in questo campo, anche se si rivela abbastanza promettente. Attraverso la simulazione numerica è infatti possibile simulare una fonte di luce arbitraria, ambientale e artificiale, e studiare in dettaglio come si distribuisce su un oggetto di qualsiasi forma. La vera sfida è probabilmente simulare una situazione realistica, cercando di includere tutti i parametri che possono influenzare il risultato. Indipendentemente da ciò, la capacità di costruire scenari arbitrari rende
questo metodo una potenziale risorsa per la ricerca futura.
M. Marro et al.
tradotto da Giorgia Meneghel