Siamo Credibili?
“Siamo credibili?”
Sebbene sia un comportamento sociale molto comune, si sa poco sulla natura delle stronzate, intese come il comunicare qualcosa senza portare delle prove e senza alcuna conoscenza.
John Petrocelli insegna psicologia alla Wake Forest University, nel North Carolina, ed ha pubblicato uno studio sul Journal of Experimental Social Psychology intitolato “Antecedents of bullshitting”: “I retroscena delle stronzate”. Lo studio cerca di capire in quali condizioni le persone si sentono autorizzate a dire sciocchezze, che è cosa ben diversa dal mentire, come spiega lo studio. Chi mente nasconde la verità, mentre chi dice stronzate spesso sta solo ripetendo cose “che ha sentito dire in giro, o idee presentate da persone che sembrano credibili”.
Come nota Petrocelli: altre ricerche hanno dimostrato che il dire stronzate è socialmente più accettato del mentire, forse perché chi dice stronzate lo fa per favorire il senso di appartenenza di un gruppo intorno a un’idea. E poco importa se quest’idea è basata su fatti non veri.
Se questa consuetudine, sempre più diffusa anche per l’uso dei social con cui tutti esprimono tutto liberamente, riguarda la sfera della salute della persona, la questione assume un aspetto allarmante, e anche per quello che ci interessa su cosa l’optometria sia e come la si eserciti.
Uno dei problemi della nostra professione è liberarsi dal groviglio di pratiche non supportate da alcun metodo scientifico. L’optometria opera in ambito sanitario, ascolta e si occupa di persone il cui benessere è in qualche modo compromesso, questo richiede una pratica basata sulle evidenze e non sul fai da te e che non sia esercizio abusivo di professioni sanitarie regolamentate.
Il metodo scientifico presuppone l’esistenza di una comunità che stimola culturalmente la ricerca, ne condivide consenso scientifico nel metodo e ne recepisce i risultati, che poi vengono diffusi su riviste accademiche qualificate del settore.
Non è più accettabile turarsi il naso al cospetto di quel particolare modo di lavorare che se una procedura funziona a me (ammesso che funzioni), allora è universalmente valida e vendibile. Non è più tollerabile utilizzare un linguaggio ambiguo, privo di validazione scientifica, con disinteresse per la salute e la dignità delle persone. Non è più ammissibile dire stronzate, appunto, perché adesso abbiamo leggi che puniscono i fantasisti e soprattutto abbiamo gli strumenti per lavorare per la tutela della persona: si chiamano Norme di Buona Pratica, Codice di Condotta, Aggiornamento. Siamo responsabilizzati sulla necessità di condivisione e del procedere in interdisciplinarietà.
Sono in molti e sono stanchi quelli che, per colpa del comportamento di pochi, si vedono costretti a fronteggiare ogni giorno accuse di malpractice rivolte dall’esterno a tutta la nostra categoria, che tutti dovrebbero difendere, se solo ne avessero i mezzi culturali.
Veniamo ad un argomento specifico e controverso, che se mal gestito ed interpretato, comporta errori di valutazione a discapito della persona: il ruolo dell’optometria riguardo all’ambliopia e allo strabismo.
La rieducazione dell’ambliopia, quando prescritta con occhiali, o lenti a contatto, rientra nelle competenze professionali di chi esercita l’optometria.
Non siamo oculisti e non siamo ortottisti, ma ci occupiamo di ambliopia e di strabismo. Vediamo persone ambliopi e strabiche, ci occupiamo di loro, gestiamo le loro correzioni ottiche, con le quali la persona raggiunge la massima visione possibile, e ci occupiamo di loro gestendo la correzione evitando che peggiori la visione binoculare.
La visione nitida è la base per una normale visione binoculare e quindi essenziale anche per l’ambliopia.
L’optometrista non fa diagnosi di ambliopia, non fa diagnosi di strabismo, non prescrive terapia per ambliopia e per strabismo: si occupa di rieducare la visione e si dedica a risolvere i problemi visuo-spaziali e percettivi nell’ambliopia e nello strabismo, con occhiali, con lenti a contatto e con l’educazione visiva.
L’optometria ha i mezzi opportuni per lavorare con molte patologie, sia appena diagnosticate dal medico, sia in condizioni stabilizzate, in autonomia e in cogestione, come indicato nelle procedure di Buona Pratica.
Abbiamo il dovere e la responsabilità di interagire con le professioni sanitarie, se osserviamo e misuriamo le anomalie.
Ed è per questo modo di lavorare, con chiarezza, metodo, conoscenza e senza dire stronzate, che possiamo affermare che sì, siamo credibili.
Bibliografia